Sulla vicenda Wärtsilä Trieste sta dando una bella prova di unità ed è bene rimarcarlo anche prima del 3 settembre, giorno della grande manifestazione cittadina.
Cittadini, istituzioni, lavoratori, associazionismo industriale e manager tutti hanno reagito al comportamento sprezzante, scorretto e –come sottolineato anche dal Presidente D’Agostino- anche poco lungimirante dei vertici finlandesi della Wärtsilä.
Tra i politici si registra uno scontato e unanime appoggio ai lavoratori, ma c’è chi, come il Presidente Fedriga, si è mosso bene e pragmaticamente (ricordiamo il gioco di squadra con Fincantieri e con il Governo centrale) e chi, come il suo predecessore (la Serracchiani) presenzia in chiave pre-elettorale.
Ad ogni buon conto e specialmente dopo la mossa coreana di muovere la diplomazia per il trasporto dei motori, penso si possa dire che la crisi si sia spezzata in due tronconi temporali e di merito: il primo riguarda il breve o brevissimo periodo e la questione dei motori, della proprietà degli stessi, della cassa integrazione e del blocco dello stabilimento; il secondo ha una prospettiva di lungo periodo e tocca questioni strategiche sul futuro industriale della città e dell’Italia. In entrambi i contesti i lavoratori sono al centro.
Nell’immediato è fondamentale il sostegno della città nel dar filo da torcere ai finlandesi con ogni mezzo: bene l’appoggio dei lavoratori portuali, ben vengano ordinanze ad hoc “amiche” e la massiccia presenza dei cittadini alle manifestazioni è decisamente utile; poi ci sarà una battaglia legale, ma prender tempo e rendere onerosa ai finlandesi la cinica scelta aiuta la ricerca di una soluzione nel lungo periodo.
Nello scenario di lungo periodo penso che l’ipotesi di una forma di nazionalizzazione sia quella più fattibile; fattibile non significa facile. Pur essendoci degli ostacoli: la questione dei brevetti, della proprietà dei macchinari, della disponibilità della Wärtsilä a vendere e la probabile complessa trattativa correlata e i margini di azione consentiti dall’Unione Europea. La nazionalizzazione tuttavia pare percorribile. Partiamo proprio dalla posizione dell’UE: se a seguito del Trattato di Maastricht che fissava il limite deficit/PIL al 3% c’è stata una forte spinta alle privatizzazioni, la crisi economica del 2008 ha segnato un’inversione di tendenza riportando la partecipazione degli Stati in diversi settori produttivi, specialmente quelli strategici. La crisi derivante dalla recente pandemia, inoltre, ha dato ulteriore spinta all’intervento pubblico in diverse forme di aiuti di Stato e partecipazioni azionarie.
A onor del vero anche la Wärtsilä, ha beneficiato di un poderoso sostegno pubblico italiano; sembra, infatti, che negli ultimi cinque anni Wärtsilä abbia goduto di circa 11 milioni e mezzo di euro di contributi pubblici. A questi sembra vadano aggiunti 30 milioni di garanzie SACE, altri 20 milioni di euro nel 2017 per superare una crisi produttiva della società, poi si registra l’operazione di cessione di due capannoni e le aree contigue a Interporto di Trieste Spa per 20 milioni di euro, e quindi gli investimenti di Regione e MISE per circa 8 milioni di euro. Tanto per non farsi mancar nulla, la Wärtsilä richiede 34 milioni di euro allo sportello PNRR.
Vien da dire, pertanto, che nell’atteggiamento della dirigenza Wärtsilä sembrano riconoscersi i tratti tipici di un capitalismo senza scrupoli e non quelli di un’accorta public company che pur dovendo render conto agli azionisti, tiene in considerazione il territorio nel quale si è insediata, dimostrando così di avere uno sguardo lungo, al futuro del fare impresa.
Quindi l’azienda ha ricevuto cospicui finanziamenti pubblici senza i quali, probabilmente, non avrebbe potuto prosperare e questo va a sostegno dell’entrata del pubblico nella proprietà; inoltre, a ulteriore sostegno all’ipotesi di nazionalizzazione, va sottolineato che l’azienda, sotto il profilo dell’economia reale, è sana e produttiva e competitiva; qui, infatti, non si tratta di salvare un’azienda a pezzi, obsoleta e inefficiente, anzi.Sul modello di nazionalizzazione si potrà discutere anche per scongiurare assetti inefficienti che, come in passato, non hanno dato i risultati sperati. Bisogna sfatare il mito che tutto ciò che è pubblico è inefficiente; anche nel pubblico si possono adottare metodiche aziendali.
Confido che l’ipotesi di nazionalizzazione possa trovare consensi e idee per una sua realizzazione, magari con modelli innovativi così da non disperdere il capitale umano dell’azienda e del consistente indotto che costituiscono parte fondamentale del tessuto economico, storico e sociale di Trieste.
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