Il FVG  è in zona rosso scuro, Udine quasi nera, la più colpita d’Italia per numero di contagi e anche di morti. Gli ospedali scoppiano, la sanità territoriale è ridotta al lumicino, per non parlare di tamponi e prevenzione.  La Regione  annuncia una manovra capace di garantire  200 posti letto Covid aggiuntivi e la sospensione dell’attività chirurgica programmata. Di quella poca rimasta.  Sembra quasi che ci sia piombata addosso una calamità improvvisa, inaspettata, eppure c’era da aspettarselo,  perché nella nostra regione non solo è mancata un’adeguata programmazione fin dall’inizio, ma neppure si sono corretti quei deficit che hanno mantenuto e potenziato i contagi.

Abbiamo fatto lavorare medici e infermieri con mascherine che non filtravano abbastanza, che è peggio, molto peggio che non averle, in tal caso almeno si sta più attenti.  Ovviamente non a tutti son capitate le maschere farlocche, ma a quanti?  Qual è la dimensione del fenomeno?  Eppure il sospetto che qualcosa non andasse c’era già prima, molto prima, era il 10 agosto quando la Giunta fu interrogata sulla validità delle mascherine.  Non era una certezza, era un dubbio,   un invito affinché chi di dovere accertasse perché in ospedale venivano fornite a medici e infermieri mascherine con l’avvertenza  MEDICAL USE PROHIBITED. Forse un po’ più diligenza non avrebbe stonato. Invece c’è voluta la Guardia di Finanza, ma 7 mesi dopo; quanto contagio si poteva prevenire? Solo nell’ultimo trimestre dell’anno scorso si è parlato di 1300 sanitari infetti in provincia di Udine.

E sono gli stessi medici e infermieri che con le mascherine farlocche erano  chiamati  a lavorare in ospedali misti, che ricoveravano  malati covid e no covid, i cui percorsi intraospedalieri spesso si incrociavano. Ci sono testimonianze e documentazioni puntuali  dei percorsi promiscui al Maggiore e a  Cattinara.  Ma non sembra che in altre strutture regionali sia andata meglio nell’evitare tali commistioni. Fin da  aprile ci sono stati  atti ufficiali, non chiacchere, affinché si separassero covid e no covid.  Inascoltati da chi avrebbe dovuto proteggere i malati, gli operatori  sanitari, i cittadini. E pazienza ad essere snobbati noi, ma addirittura il Ministero della salute! Già perché questo indicava la necessità di “identificare prioritariamente strutture/stabilimenti dedicati alla gestione esclusiva del paziente affetto da COVID- 19,” e laddove impossibile i percorsi clinico-assistenziali e il flusso dei malati sarebbero dovuti essere nettamente separati.”  Avremmo pensato che in previsione della seconda ondata almeno sugli ospedali si sarebbe presa qualche precauzione. Le buone intenzioni non sono mancate nei piani pandemici delle aziende, ma sono rimaste sulla carta.  Di nuovo in ottobre, e sempre  con atti ufficiali, avevamo evidenziato che la commistione di pazienti Covid e no Covid sia a Cattinara che al Maggiore aumentava a dismisura il rischio di contagio.  Eppure sia  le evidenze che le stesse norme di legge sono rimaste ignorate, e così sono rimasti  gli ospedali misti covid no covid, i percorsi promiscui, fino a collocare in ospedale i punti vaccinali dove coloro che andavano a vaccinarsi, compresi gli over 80, incrociavano  i flussi ospedalieri.  L’ideale per espandere l’infezione dentro l’ospedale e da qui diffonderla all’esterno, in primis verso le case di riposo.

E non è andata meglio la prevenzione fuori dall’ospedale.  Saremmo dovuti essere pronti a  contenere la diffusione del COVID-19 con la strategia delle 3T – Testare, Tracciare, Trattare –  riconosciuta come  la più efficace. Ovvero fare i tamponi, ma subito, tracciare i contatti nel minor tempo possibile, trattare i malati con la massima tempestività e se possibile curarli a casa. Invece abbiamo visto sia malati   che sospetti sani  attendere il tampone diversi giorni, anche una settimana e più. E poi costretti ad  andare a farsi il tampone, magari febbricitanti, negli ambulatori pubblici  con i propri mezzi, e chi non li aveva in autobus, dove evidentemente  diffondevano miliardi di virus; e in spazi stretti e affollati non c’è mascherina che tenga e figuriamoci quelle farlocche. E così anche il trattamento non poteva che arrivare in ritardo, anche in grande ritardo,  che non di rado significava aggravamento e alla fine non restava che l’ospedale. Se andava bene. Non abbiamo parlato della seconda T – il tracciamento – perché è rimasta una chimera.

Ecco quello che la sanità del FVG   ha saputo mettere in piedi per la seconda ondata,  una débacle solo in parte mitigata dal lavoro, fino al sacrificio, delle migliaia di operatori della salute, mandati in prima linea senza ordini chiari  e – come abbiamo visto – con dispositivi di protezione individuale che  non proteggevano abbastanza. Un recente articolo di Friulisera parlando di questa guerra contro il virus ha evocato la rotta di Caporetto, ed esattamente come la storia racconta, le ragioni della disfatta oggi come allora non sono attribuibili alle truppe ma a chi era ed è al comando.  La Regione FVG  è in rosso scuro tendente al nero,  nessuna meraviglia vista come è andata.  Ma ora serve un cambio di passo.

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  1. Cosa aspetta la nostra Regione (il FVG) a far vaccinare le persone con patologie, ad esempio quelle con malattie polmonari conclamate come me, che se prendono il COVID sono spacciate? Molte Regioni lo stanno facendo (Liguria, Toscana, ecc.). Dobbiamo continuare a stare come reclusi per paura di essere contagiati? Ed ancora per quanto?

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