Man mano che passa il tempo dopo le rivelazioni del rapporto della Guardia di Finanza sulla gestione del Covid affiorano sempre più testimonianze sull’estesa mancanza di trasparenza che ha accompagnato le restrizioni, molte delle quali (non tutte) palesemente assurde, ma tutte assai dannose per i cittadini, in termini sia di salute che economici.

Il Friuli Venezia Giulia non ha fatto eccezione tra le regioni per le misure restrittive delle libertà personali e per le imponenti azioni repressive. Ed anche per l’opacità in cui hanno agito gli apparati.

Per repressione si intende non solo la caccia ai trasgressori degli infiniti divieti, chi osava camminare da solo nel bosco, chi osava pescare in riva al mare, chi veniva colto in flagrante a sternutire seduto su una panchina in mezzo ad una piazza deserta (anche questo è successo a Trieste ed è costato al malcapitato 400 euro). La repressione ha colpito anche i pubblici dipendenti, in particolare gli operatori sanitari, medici e infermieri, imbavagliati e sorvegliati speciali, con l’incombente minaccia degli uffici disciplinari che non si azzardassero a fornire dati, esprimere preoccupazioni, rivelare al mondo cosa succedeva dentro gli ospedali.

Di testimonianze ne abbiamo tante, le rilevazioni della Guardia di Finanza sembrano confermare in pieno l’imbroglio di cui è stata vittima la popolazione.

Ed oggi voglio aggiungere la mia testimonianza, perché è una testimonianza diretta. Nel mio ruolo di medico e di consigliere regionale avevo l’obbligo etico prima che istituzionale a controllare l’operato della Giunta regionale e delle sue articolazioni.

Fin dall’inizio della pandemia ho fatto numerose interrogazioni alla Giunta regionale su temi rilevanti: sull’uso dei presidi di contrasto al virus, sulle basi scientifiche a supporto dei lockdown, sui costi della tristemente famosa nave lazzaretto, sul numero delle persone infettate dal virus, sui focolai ospedalieri, ecc. Tutte dopo tre anni ancora in attesa di risposta da parte dell’assessore competente.

E quando la mia insistenza a conoscere la verità e ad informare i cittadini di cosa stesse accadendo divenne, se non pericolosa, almeno molesta, partirono dei segnali che sembravano intimidazioni.

Prima mi arrivò una diffida commissionata da ASUGI – l’Azienda sanitaria triestina – ad un affermato studio legale di Udine, noto per assistere i big della politica, e dopo un paio di mesi mi trovai doppiamente indagato dalla Procura per diffamazione aggravata e procurato allarme. Su denuncia del Direttore di ASUGI.

Di cosa mi si accusava? Di aver svelato lo stato di scarsa protezione in cui lavorava il personale dell’ospedale di Trieste e di aver rivelato che per ben sei giorni un focolaio epidemico sviluppatosi nel reparto di Medicina d’Urgenza dell’ospedale di Cattinara era stato tenuto nascosto.

Piuttosto che intervenire sui problemi segnalati, è grave nascondere un focolaio, il vertice di ASUGI aveva scelto la via della denuncia, sostenendo che mai era stata nascosta l’epidemia in quel reparto e che dunque avevo detto il falso, ledendo l’immagine dell’Azienda sanitaria e suscitando ingiustificato allarme nella popolazione.

Molti mesi di indagini durante i quali la mia credibilità fu messa in discussione e con essa la mia immagine di politico e di medico. Lunghi e brutti mesi, perché non basta sapersi innocenti se i magistrati ti indagano.

Dopo otto mesi le denunce furono archiviate da due GIP su richiesta degli stessi Pubblici Ministeri, in quanto le prove portate da ASUGI non avevano retto all’esame degli investigatori. Infatti, i Carabinieri accertarono che i casi di positività al COVID-19 tra i pazienti della Medicina d’Urgenza c’erano già a partire dal 9 aprile e ulteriori casi il 10 aprile, precisando che alcuni dei pazienti che avevano contratto il virus in Medicina d’Urgenza sono poi deceduti, pur ignorandosi se, e in quanti e quali casi questo contagio abbia determinato la causa o concausa di morte.

La sorpresa fu clamorosa, perché tra le “prove” addotte da ASUGI c’era un documento firmato da 35 medici del Pronto Soccorso e della Medicina d’Urgenza, primario in testa, che dichiaravano che “non c’è alcuna evidenza che il giorno 10 aprile ci sia stata un’infezione della Medicina d’Urgenza.” Ma invece il 10 aprile era proprio il giorno da me indicato come inizio del focolaio e confermato dalle indagini dei Carabinieri, che smentirono la dichiarazione firmata dai medici. Dunque effettivamente il focolaio era stato tenuto nascosto per 1 settimana.

Credibilità e onore mi sono stati restituiti, ma perché nessuna conseguenza per chi ha denunciato, per chi ha dichiarato il falso?

Eppure, senza la solerzia dei magistrati, senza la capacità investigativa dell’Arma, avrei rischiato di essere condannato per un delitto non commesso.

Ma perché 35 medici hanno firmato un documento non veritiero che andava ad incriminare un collega? Ci sono state pressioni?

Sono domande che credo esigano risposte chiare ed esaurienti e per questo ho presentato oltre un anno fa un esposto alla Procura.

Invece non mi aspettavo, e non mi aspetto risposte dalla REGIONE, di cui l’Azienda sanitaria è un’articolazione diretta. L’opacità degli apparati sembra ancora inscalfibile.

Ma ora la Guardia di Finanza di Bergamo ci ha dà un filo di speranza in più.

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