Le violenze verso medici e infermieri sono in aumento, gli organi di rappresentanza dei sanitari chiedono misure urgenti, dai vertici politici arrivano rassicurazioni e promesse, tante parole, ma poco o nulla di concreto. Il fenomeno è complesso, di difficile contrasto, vi sono molte cause.

Questi problemi ci sono sempre stati, ma in numero enormemente minore e con conseguenze usualmente meno gravi, poiché in passato c’era maggior attenzione sia in chiave preventiva che di contenimento del danno ad aggressione avvenuta.

Nei servizi di emergenza – 118 e Pronto soccorso – dove ho lavorato per decenni, c’era un’attenta formazione del personale per evitare che momenti di tensione degenerassero in violenze. Di solito si trattava – come oggi – di persone in abuso etilico o di sostanze o con problemi psichiatrici; i professionisti seguivano specifiche procedure di contenimento quando la violenza scoppiava. Allora gli organici erano un po’ più dotati e quindi vi era la disponibilità di più sanitari e in queste situazioni solo quando si è in tanti si riesce a “contenere” senza che nessuno si faccia troppo male. Oltre a poter contare sul posto fisso di Polizia, ora chiuso.

Ma perché oggi ci sono tante aggressioni in più? Spesso si tende a scaricare tout court la responsabilità sui cittadini, ma è di evidenza comune che la gente è sempre più esasperata: tempi di attesa mai visti prima per l’ambulanza, tante ore di attesa nel triage prima di essere visti dal medico, i familiari impediti a star vicini, assistere il loro caro, addirittura impedito l’ultimo saluto al genitore morente. E allora capita che si alzi la voce, non di rado la risposta dei sanitari può apparire conflittuale, perché anche loro sono esasperati, sono troppo pochi per la mole di lavoro, sono sfiniti da turni aggiuntivi subentranti, sono malpagati e spesso maltrattati dalla stessa amministrazione. E così purtroppo dalle parole si passa ai fatti, avere in rinforzo altri operatori non è facile, anche chiedere aiuto al soccorso pubblico è difficile, perché bisogna passare le forche caudine del 112 prima di poter parlare con la polizia, e poi anche questa deve fare i conti con i vuoti di organico e non sempre le volanti sono subito disponibili.

Ma ci sono anche le violenze dei facinorosi, dei bulli, ma non credo che gli aumenti di pena invocati siano un deterrente, per questi può incidere solo la prontezza di una punizione certa, e l’affanno in cui si trova la Giustizia non aiuta.

Occorre riparare alle carenze di organico di medici e infermieri, occorre avere strutture più empatiche verso i cittadini, passare dall’attuale organizzazione improntata ad una burocrazia ottusa verso un’attività per processi, dove il fine è il benessere e quindi la soddisfazione del cittadino e non il mero rispetto delle competenze.

Eppure la nostra Regione non sembra prestare troppa attenzione al problema. Lo scorso 6 maggio inoltrai alla Giunta un’interrogazione proprio su questo tema, l’Assessore alla Salute ci mise 4 mesi per rispondere e il 6 settembre illustrò in buon burocratese tutto quello che si faceva per la sicurezza dei lavoratori. Sembrava la descrizione di un altro mondo e di un altro tempo, ma almeno in quell’occasione l’Assessore Riccardi recepì la mia proposta di una linea telefonica diretta tra Pronto soccorso dell’ospedale e Sala operativa della Questura, in modo da saltare il nodo del 112. Un accorgimento semplice da attuare, di costo assai contenuto, ma dopo oltre un mese non se ne sa ancora nulla. Che sia rimasto nel limbo dei “faremo”?

Tags:

No responses yet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *