Mi pareva una notizia “impossibile” quando ho letto sulla stampa che tutti, ma proprio tutti i cittadini che avevano prenotato visite specialistiche ed esami diagnostici come ecografie, Tac e risonanze dovranno rifare tutto daccapo. Che significa andare dal proprio medico di famiglia, farsi fare l’impegnativa, ricontattare il CUP e sperare che il tempo di attesa per fare l’esame si conti in mesi piuttosto che in anni.
Ma perché gli esami già prenotati non sono più validi? Eppure erano prescritti da un medico, da uno specialista che per i D –differibili- certificava l’esigenza di farli entro 30 o 60 giorni. Poi, si sa, sono stati bloccati per il coronavirus, quindi per forza maggiore. Ma adesso perché rifare tutto l’iter burocratico? Perché intasare i CUP, che immagino già assai impegnati con le nuove richieste di visite e accertamenti? Qual’ è il motivo? Qual’è l’arcano burocratico che moltiplica i disagi di tanti cittadini? E che per non pochi di essi significa più sofferenze e anche l’aggravarsi della malattia.
Lo SNAMI -Sindacato nazionale autonomo medici italiani- ha denunciato anche l’assenza di chiarezza sulle disposizioni trasmesse dalle Aziende sanitarie ai cittadini e agli stessi medici, che non sanno cosa rispondere ai loro pazienti.
Eppure fin dal 16 marzo, data in cui il Ministero ha disposto la sospensione degli esami differibili e programmati, si sapeva che prima o poi si sarebbe tornati alla normalità. Ma nessuno ci aveva pensato prima? Temo di no, viste le parole dell’Assessore alla Salute «Stiamo lavorando per individuare la soluzione». E’ il 13 giugno.
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