Il COVID-19 ha imposto la forzata separazione del malato dai suoi famigliari impedendo la possibilità di seguirlo nel decorso della malattia e anche un degno commiato in caso di decesso.
Sono dell’idea che ci si poteva sforzare per individuare una modalità di incontro sicura tra famiglia e paziente; in tal modo si sarebbe dato seguito a quanto disposto dalla recente riforma sanitaria, ossia che la programmazione ed organizzazione sanitaria e ospedaliera regionale abbia tra le sue finalità “la valorizzazione della centralità della persona, del ruolo della famiglia e della rete di supporto familiare” (art. 2 LR n. 22/2019).
Ho trovato pertanto sconcertante e particolarmente odiosa la notizia riportata dagli organi di stampa che denuncia come le famiglie di deceduti per COVID-19 nelle strutture ospedaliere triestine di ASUGI non sono a tutt’oggi in grado di rientrare in possesso degli averi dei loro cari, compresi oggetti di grande valore affettivo come le fedi nuziali.
Non sembra trattarsi di una carenza del personale di reparto né della cooperativa addetta alle pulizie, ma sembrerebbe piuttosto una deficienza organizzativo-amministrativa della Direzione di ASUGI (e fors’anche della Direzione Centrale Salute) che pare aver trascurato l’elaborazione di un percorso di umanizzazione delle prestazioni.
Ho inteso interrogare la Giunta regionale per sapere quali iniziative intende prendere perché queste deplorevoli carenze organizzative siano rapidamente sanate.
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