Alla presentazione dell’atto aziendale di ASUGI – Azienda sanitaria giuliano isontina – c’è stata grande enfasi per il modello di assistenza territoriale, mentre l’assetto dell’ospedale è passato in sordina.
Come mai? Forse perché tutti i tagli dei reparti ospedalieri triestini che erano stati disposti dalla riforma Serracchiani-Telesca sono stati confermati e si è sancito così il declassamento dell’ospedale di Trieste. Contrariamente a quanto avvenuto per l’ospedale di Udine, dove l’atto dell’Azienda sanitaria Friuli Centrale non ha confermato tutti i tagli dei reparti, ponendo di fatto Udine come centro di riferimento ospedaliero di alta specializzazione per tutto il FVG.
Per Trieste, e solo per Trieste, l’attuale amministrazione regionale sembra aver fatto propria la linea della precedente Giunta in merito alla chiusura dei cosiddetti reparti “doppioni”, ovvero che dove ci siano più reparti della stessa disciplina, uno ospedaliero e uno universitario, p.es. chirurgia e ortopedia, almeno uno vada soppresso.
A Cattinara è così sfumata ogni possibilità di rinascita per la chirurgia ospedaliera, idem per l’ortopedia, nessun ripensamento neppure per la Medicina d’Urgenza, già struttura autonoma ed eccellente, ora ridotta a mera appendice del Pronto soccorso. E identico oblio per altri reparti soppressi negli anni precedenti.
A Udine l’amministrazione ha deciso di mantenere aperti diversi “doppioni”. E così al Santa Maria della Misericordia resteranno 2 strutture di ortopedia, 2 di oculistica, 2 di neurologia, addirittura 3 di chirurgia (quando a Trieste già 2 erano troppe!), 2 di anatomia patologica, 4 di radiologia.
Il perché lo ha spiegato sulla stampa il Direttore dell’Azienda sanitaria udinese: “Non ci sono doppioni in questo atto aziendale, se ci sono 2 strutture vuol dire che c’è volume di attività per 2. L’orario di lavoro degli universitari è diverso da quello degli ospedalieri. Svolgono già mandati diversi.”
Pensiero del tutto condivisibile, infatti il mandato principale delle strutture universitarie è la didattica e la ricerca, per i reparti ospedalieri l’assistenza ai malati. Obiettivi diversi, organizzazioni diverse, che insieme esprimono compiutamente un polo ospedaliero-universitario.
A Udine si è capito che i primari ospedalieri dei reparti da chiudere non sono delle “poltrone” manifestamente inutili – come sostenuto a suo tempo dai precedenti vertici regionali – ma sono le guide di équipe di professionisti con il loro patrimonio culturale, operativo, organizzativo e di relazioni umane, frutto di studio ed esperienza pluriennale.
A Trieste invece la riduzione di strutture complesse, oltre a contrarre l’offerta di cure ai malati, svuota progressivamente l’ospedale di professionalità, competenze, futuro. L’ospedale triestino non potrà più offrire adeguate occasioni di sviluppo professionale ai suoi medici, per cui molti di essi, verosimilmente i migliori specialisti migreranno verso lidi più accoglienti e tanti giovani medici si terranno alla larga da dove è preclusa ogni possibilità di carriera.
E così si compie il destino del nostro ospedale, un tempo eccellente ed ora avviato verso il tramonto.
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