Un uomo morente ha atteso i soccorsi per 23 minuti. È successo lo scorso 29 aprile a Trieste nel rione di Valmaura. Adesso apprendiamo che la Procura della Repubblica ha aperto un’indagine per omicidio colposo, al momento a carico di ignoti, con l’ipotesi dell’eventuale “colpa professionale sanitaria”.

L’indagine mira a stabilire innanzitutto se la morte sarebbe sopravvenuta comunque, oppure se un soccorso più rapido avrebbe potuto consentire delle probabilità di sopravvivenza, e in che misura. E solo se questa ipotesi prevarrà si cercheranno le responsabilità del ritardo di soccorso.

Se un tempo di soccorso così lungo rappresentasse un fatto isolato potremmo forse parlare di fatalità, ma la cronaca degli ultimi anni è piena di disservizi e ritardi, da quando è stata chiusa la Centrale operativa 118 di Trieste per attivare la Centrale unica di Palmanova.

È stato pubblicato un Libro bianco – https://www.laurastabile.it/libro-bianco/ – che contiene centinaia di fatti simili, non tutti per fortuna mortali, che pone pesanti interrogativi sul modello organizzativo costruito a Palmanova.

Sarebbe quindi ingiusto e inutile cercare responsabili tra gli operatori addetti al NUE 112 o alla SORES, che credo siano loro stessi vittime del sistema.

Basti pensare che non pochi degli infermieri della SORES lì impiegati sono freschi di laurea, senza valide esperienze nella specifica di attività di soccorso. Quando lavoravo al Sistema 118 di Trieste per diventare operatori di centrale ci volevano 5 anni di ambulanza e per lavorare in ambulanza altrettanti anni di ospedale; quindi 10 anni di esperienza; ciò perché il lavoro di Centrale è il più difficile e delicato del sistema di soccorso.

E per non parlare dei requisiti richiesti per diventare operatori del NUE 112: licenza di terza media e tre mesi esperienza lavorativa in un call center, poi due settimane di formazione, e via in prima linea a raccogliere le richieste di aiuto dei cittadini. Certamente ce la mettono tutta per cercare di rispondere il meglio possibile, ma un professionista dell’emergenza non si forma in due settimane.

Ecco perché sembrerebbe iniquo se a pagare per ritardi e disservizi fossero gli operatori, mentre chi dirige questo sistema sembra sostenerlo nonostante le evidenze.

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