Questa è una testimonianza che non si vorrebbe mai pubblicare, ma bisogna, perché bisogna capire che un ospedale deve offrire condizioni di degenza che rispettino la dignità della persona, e tanto più di chi sta per morire. Eppure a fronte delle inaccettabili condizioni strutturali in cui si trovano i nostri ospedali, il personale, medici ed infermieri, – come si evince dalla testimonianza – continua a dimostrare umanità, empatia, competenza.
<< Dott. Zalukar buon giorno dal mio osservatorio ‘privilegiato’ nei piani alti di una torre di Cattinara, le segnalo un episodio… purtroppo molto personale per il quale cercherò di rispettare la dovuta riservatezza. Dal momento in cui dal PS ero stato trasferito al reparto, mi era sembrato che il mio compagno di stanza fosse gia’ molto grave. Dalle parole del personale ho capito che alle patologie per le quali era ricoverato s’erano aggiunte le conseguenze di una caduta dal letto. La prima notte stanco io, spossato e con respiro affannoso lui, comunque s’è dormito… nei limiti dei necessari puntuali interventi che con professionalità e cortesia dovevano essere eseguiti. La notte seguente, in condizioni fisiche apparentemente migliori… il mio ‘coinquilino’ ha chiamato una cinquantina di volte il personale di turno… prima con la pulsantiera, poi a voce e infine chiedendo a me di farlo per lui con la mia pulsantiera che lui non trovava. Ignorando la gravità e la ragione per cui chiedeva aiuto non potevo non farlo… che poi fosse la ricerca del tappo della bottiglia d’acqua, la scomparsa della radiolina, degli occhiali, del cellulare… o il lenzuolo sopra o sotto il piede, non importa. Era a disagio… mi sentivo obbligato. Notte insonne. Viste le condizioni generali che percepivo essere peggiorate, tanto da richiedere visita pneumologica e somministrazione di ossigeno, al silenzio serale ho concordato con il personale del turno di notte di trasferirmi su una poltroncina reclinabile nel salottino della tv. Concesso questo trasloco… alla sveglia riprendevo posto nel mio letto. Terza notte… le condizioni del compagno di stanza sono in rapido peggioramento. Il continuo intervento del personale medico ed infermieristico mi danno tacitamente conferma. Al momento di mettersi a dormire lo vedo assopito, passa poco e ricomincia la disperata richiesta di aiuto. Fa pena quel suo invocare la mamma, come un bimbo ammalato o un soldato ferito in trincea… Continui interventi che ad un certo punto mi spingono – e me ne scuso – ad alzare la voce per chiedere, egoisticamente, rispetto anche per me che lì non sono in vacanza, pur se in condizioni assolutamente meno critiche. Meno egoisticamente a chiedere dignità per chi si sta avvicinando al trapasso e per chi, amorevolmente con professionalità e competenza lo assiste. Dignità negata in qualche modo da quell’ intruso che io rappresento… quasi infastidito ed insonne testimone di un processo prossimo alla fine. Devo insistere, mi viene negata la poltroncina della notte precedente… ma mi si concede, finalmente, la soluzione più banale: un letto in un’altra stanza. Concludo e le chiedo: come esiste un preciso protocollo per l’uso della/e stanza/e singole nelle procedure per l’isolamento (affisso nel corridoio) è possibile che non esista un altrettanto puntuale protocollo per gestire situazioni in cui sia doveroso garantire dignità a chi sta lasciando, soffrendo, questa vita e altrettanta dignità a chi a lui dedica – fino all’ ultimo – la sua professionalità, quale che sia il colore del camice che indossa? Dignità di prepararsi a morire senza la potenziale morbosa curiosità di estranei sia pur casualmente presenti. >> (lettera firmata)
No responses yet