Nell’impegno in Consiglio regionale metto lo stesso rigore che guidava le mie azioni da medico. Nella fattispecie, gli interventi che faccio, siano questi interrogazioni, emendamenti, mozioni o semplici comunicati stampa, poggiano sempre su un fondamento scientifico o quantomeno riscontrabile. Dopodiché, considerato che neanche la scienza è infallibile, ci sono spazi per il dibattito e opinioni diverse, ma che si spera avvengano su fondamenti seri.
Devo dire che come semplice Consigliere regionale non è per nulla facile avere accesso a dati attendibili e ad informazioni utili a lavorare sulle politiche sanitarie regionali. Al contrario della Giunta, io non dispongo di intere Direzioni regionali con relativi funzionari che si occupano chi di una materia chi di un’altra; cionondimeno ritengo di difendermi bene, studiando molto e forsanche imperversando la Giunta con interrogazioni che chiedono la ragione delle scelte (e degli indicatori e degli studi sulle quali queste poggiano).
E’ con questo spirito che, da quando l’ordinanza della Regione ha imposto le mascherine anche all’aperto, mi sono dedicato a capire se questa misura è utile o meno.
La questione è dibattuta sia a livello scientifico per quanto attiene all’efficacia delle mascherine all’aperto e altresì a livello giuridico sull’applicazione e l’interpretazione del principio di precauzione.
Nel corso dell’epidemia c’è stata un’inondazione di pubblicazioni che, nonostante apparisse su accreditati giornali scientifici, non era ancora “validata” attraverso il processo della “peer review” che garantisce alto rigore scientifico agli scritti. In momenti di emergenza vanno anche bene le “instant publications”, ma adesso è necessario riferirsi a qualcosa di più solido.
Su queste basi e avendo passato in rassegna le pubblicazioni più accreditate (BMJ, NEJM, The Lancet, per citare i più importanti), ho riscontrato, senza sorpresa peraltro, che l’OMS e soprattutto l’ECDC offrivano le indicazioni con la miglior fondatezza.
Ecco perché le mascherine all’esterno non andrebbero rese obbligatorie (come ben spiegato in questo articolo: http://www.quotidianosanita.it/lettere-al…/articolo.php…).
Vi sono innanzitutto due potenziali effetti collaterali negativi largamente riconosciuti in letteratura:
1. Indossare una maschera facciale può dare un falso senso di sicurezza e indurre le persone a ridurre l’aderenza ad altre misure di controllo delle infezioni, tra cui il distanziamento sociale e il lavaggio delle mani.
2. L’uso inappropriato della maschera: le persone non devono toccare le proprie maschere, devono cambiare di frequente quelle monouso o lavarle regolarmente.
A questi si aggiungono ulteriori potenziali effetti collaterali:
La qualità e volume della conversazione tra due persone che indossano maschere sono molto compromessi e le persone possono inconsciamente avvicinarsi.
Indossare una maschera facciale fa entrare l’aria espirata negli occhi. Ciò genera una sensazione spiacevole e un impulso a toccare gli occhi. Se le mani sono contaminate, ci si infetta.
Le maschere facciali rendono la respirazione più difficile. Per persone con BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva) sono insopportabili perché peggiorano la loro dispnea. Inoltre una frazione di CO 2 espirata in precedenza è inalata a ogni ciclo respiratorio. I due fenomeni aumentano frequenza e profondità della respirazione, quindi aumentano la quantità d’aria inalata ed espirata. Ciò potrebbe peggiorare le condizioni cliniche degli infetti se la respirazione potenziata spinge la carica virale in profondità nei polmoni.
Impedire la trasmissione interpersonale è la chiave per limitare l’epidemia, ma finora si è dato poco peso a quanto accade dopo che una trasmissione è avvenuta, quando l’immunità innata svolge un ruolo cruciale. Lo scopo principale della risposta immunitaria innata è prevenire subito la diffusione e il movimento di agenti patogeni estranei in tutto il corpo. L’efficacia dell’immunità innata dipende molto dalla carica virale. Se le maschere facciali creano un ambiente umido in cui il Covid-19 può restare attivo per il vapore acqueo fornito di continuo dalla respirazione e catturato dal tessuto della maschera, determinano un aumento della carica virale e quindi possono causare una sconfitta dell’immunità innata e aumento di infezioni. Questo fenomeno può anche interagire con i punti precedenti e potenziarli.
Dunque non c’è motivo di forzare la posizione più ragionevole del Governo, che prevede mascherine “nei luoghi chiusi accessibili al pubblico, inclusi i mezzi di trasporto e comunque in tutte le occasioni in cui non sia possibile garantire continuativamente il mantenimento della distanza di sicurezza” che “si aggiunge alle altre misure di protezione”.
In assenza di prove decisive può valere il principio di precauzione.
Ma proprio per questo sembrerebbe ragionevole che colui che, invece di proporre una misura mirata e condizionata, la vuole universale e intrusiva, sia tenuto a esibire le prove di sicurezza (primum non nocere) ancor più che di efficacia, prima di obbligare alla sua adozione.
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