Mi è arrivata questa lettera che è testimonianza di questi tempi e che pubblico senza commenti, perché non c’è nulla da aggiungere:

Grazie dottore, premetto che mio marito aveva 86 anni, era diabetico e tra le altre patologie una bronchiectasia pur non avendo mai fumato, si chiamava Vitoluciano.

La via crucis inizia con una caduta, tre mesi di allettamento, viene ricoverato il 14 febbraio presso la RSA del Sanatorio Triestino, il giorno dopo cade, pronto soccorso, battuta la testa, lesionato il naso, una ipersensibilità mai risolta. Senza possibilità di riabilitazione con diagnosi “raggiunti gli obbiettivi prefissi”📷, me lo rimandano a casa il 6 marzo in una giornata fredda e piovosa, tre ore di convulso ininterrotto. Lo ricovero mercoledì 11 con 40 di febbre, dolori dappertutto e difficoltà respiratorie a Cattinara. Tampone negativo e polmonite. Dopo qualche giorno il primario mi assicura che verrà a casa finito il ciclo antibiotico. 9 giorni dopo mi avvisano che l’ultimo tampone è positivo e verrà ricoverato agli infettivi del Maggiore. Morirà alle 10.30 del 27 marzo nel reparto di oculistica del Maggiore.

Nemmeno le sue cose mi verranno restituite perché il reparto è stato smantellato, gli effetti personali imballati da una cooperativa fantasma e spariti nel nulla. Lui era tra i primi sei decessi avvenuti a Trieste, un articolo è stato pubblicato dal Piccolo. La mia storia è comune alle migliaia di altri casi nel mondo, anime che muoiono sole senza un affetto vicino, disperazione dei familiari per non poter essere vicino al proprio caro. Le sue ceneri sono raccolte in una piccola urna che continuo a baciare pensando a cosa avrei potuto fare. Una disperazione senza fine.

Valdemara Amolaro

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