Alla segnalazione “Un paziente chiede del bagno – vada a farla nel bosco – risponde l’infermiera” pubblicata il 2 agosto scorso ha risposto il Direttore generale dell’Azienda sanitaria triestina, Poggiana, precisando che:
1) l’ASUGI si sarebbe offerta di andare a domicilio a fare il tampone, ma il pz avrebbe rifiutato preferendo – pur febbricitante – recarsi al Centro Tamponi di San Giovanni con mezzi propri;
2) che l’operatore che si era rivolto in modo poco educato è stato “immediatamente individuato e richiamato”;
3) a seguito della segnalazione è stata elaborata “una procedura consona per dare la possibilità in caso di estrema necessità di utilizzare i servizi igienici aziendali senza rischi” (sic!).
A chi credere?
L’utente ha risposto ad ASUGI che “non risponde al vero che sarebbe stata offerta la disponibilità di eseguire il tampone a domicilio”. Del resto si susseguono sui social le segnalazioni di altri cittadini costretti a recarsi anche febbricitanti a San Giovanni per il tampone.
Per cui sono propenso a credere all’utente e visto che la questione non è di poco conto farò un’ulteriore interrogazione alla Giunta regionale, perché si accerti la verità.Anche relativamente al “richiamo” dell’infermiera, l’utente a cui questa si era rivolto in modo poco urbano si dice dispiaciuto che ASUGI abbia ritenuto di “richiamarla”, in quanto questa infermiera è vittima quanto i pazienti, anzi forse più tutti visto che deve subire ogni giorno le proteste di chi cerca un bagno.
E così al danno di essere esposta alle critiche si aggiunge per l’infermiera la beffa di pagare per una disorganizzazione non certo a lei attribuibile, visto che pensare di dotare di un bagno una struttura con grande affluenza di pubblico dovrebbe essere nelle capacità ordinarie di una qualsiasi organizzazione.
E non aspettare la segnalazione di un utente per scoprire che la disponibilità di servizi igienici non è un optional ma una necessità.
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