Lo scaricabarile e la ricerca del capro espiatorio sono due espedienti per trasferire su altri responsabilità proprie. Tale pratica, purtroppo, è diffusa nel nostro Paese, specialmente nell’arena politica. In FVG negli ultimi tempi e in occasione dell’emergenza COVID-19 va di moda attribuire ai “tecnici” decisioni che in realtà sono politiche. E’ bene ricordare che i tecnici, eventualmente, indicano opzioni e il politico sceglie; se, al contrario, i tecnici studiano le opzioni e quindi operano la scelta, allora saremmo in una tecnocrazia.
E’ così che la nave-ospedale attraccherà su consiglio dei tecnici, è così che Trieste non può avere ospedali COVID-Free perché lo dicono i tecnici e via discorrendo.
E quando non è possibile attribuire ai tecnici una scelta, scatta l’operazione capro espiatorio. E’ quanto sta accadendo con le strutture residenziali per anziani, in particolare con quelle private e di piccole e medie dimensioni. Queste strutture sono sottoposte ad una gogna mediatica che imputa loro di non essere state capaci di contenere il contagio a causa della loro dimensione ridotta e per un’organizzazione non all’altezza.
Ad una attenta analisi dei dati, tuttavia, emerge una realtà ben diversa e che ormai comincia a farsi largo tra gli esperti del settore, l’opinione pubblica e molte famiglie. Per questo motivo ho presentato un’interrogazione alla Giunta.
Andiamo per punti:
1. L’indicazione della Direzione Centrale Salute, con documento del 21 marzo, era quella di non ricoverare in ospedale pazienti COVID positivi presenti nelle case di riposo e di trattarli in loco (tranne casi gravi).
2. Gli ospedali erano e sono i focolai principali del virus.
3. L’ASUGI ha redatto un piano per le strutture per anziani appena il 27 marzo, un mese dopo l’esplosione dell’epidemia.
4. L’aggiornamento del suddetto piano, datato 22 aprile, indica, contraddicendo quanto disposto un mese prima dalla Direzione Salute, di ricoverare gli ospiti positivi delle case di riposo in ospedale e vieta nuovi accoglimenti nelle case di riposo anche laddove queste garantiscono luoghi di isolamento e quarantena.
5. I contagi si sono concentrati in un numero ristrettissimo di residenze private e la ripartizione dei contagi ci mostra che nell’ 89 % delle strutture private il virus non è entrato.
6. Dei circa cento contagi nelle case di riposo private ben 90 sono concentrate su 3 strutture e dove le autorità sanitarie (ASUGI), postesi al “comando delle operazioni”, hanno scelto di non isolare altrove i positivi o i sospetti, ma di mantenerli in struttura.
Da tutto ciò si evince che:
· la principale causa di contagio delle case di riposo è stata una gestione poco accorta delle autorità sanitarie;
· che ci sono stati pazienti di serie A e di serie B (quelli che, ammalatisi in casa di riposo, non hanno avuto immediato accesso in ospedale);
· che la stragrande maggioranza delle case di riposo piccole e di medie dimensioni ha saputo difendere dal contagio i propri assistiti e in piena autonomia.
Inoltre è giusto ricordare che queste strutture, regolarmente autorizzate secondo i requisiti fissati dalla Regione, non sono dei reparti ospedalieri a cui chiedere prestazioni di carattere sanitario complesso. Voler modificare, come sembra paventare l’Assessore alla Salute, i loro requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi per renderle adatte ad affrontare una crisi simile è errato ed antieconomico. Elaborare dei piani per emergenze sanitarie, al contrario, è la scelta che bisogna caldeggiare.
Infine, vietare nuovi accoglimenti in queste strutture anche laddove queste garantiscono appropriati spazi di isolamento e quarantena per i nuovi ospiti significa volerle mettere fuori mercato, favorire l’arrivo di grandi gruppi di residenzialità privata e cancellare una realtà locale di assistenza che con fatica e crescente professionalità si è ben inserita nel contesto sociale della città rappresentando un riferimento di fiducia per molte famiglie.
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