La stampa locale ha dato notizia con grande evidenza che all’interno dell’ospedale Maggiore ha preso il via il cantiere per realizzare prima la Centrale operativa territoriale (COT) e poi la Casa di comunità.
L’area prevista per la COT è di circa 100 metri quadri al piano terra del Maggiore per un costo di 651 mila euro, ovvero 6.500 euro al metro quadrato. Quindi una spesa assai rilevante, ma è giustificata? Soprattutto in questo momento di congiuntura economica che vede un calo dei finanziamenti per la sanità pubblica.
Ma cos’è questa Centrale operativa territoriale?
È inserita nel PNRR voluto dall’allora ministro Speranza ed è disciplinata dal Decreto del Ministero della Salute n. 77 del 23 maggio 2022 che la istituisce, pur senza spiegare in modo esauriente a cosa dovrebbe servire. In sostanza, sembra che vi saranno infermieri o altri operatori sanitari che risponderanno al telefono e metteranno in contatto professionisti dei vari servizi ospedalieri e territoriali, coordinandone le attività riguardo a dimissioni/ammissioni, raccolta e monitoraggio dei dati. In pratica quello che già dovrebbe fare il Distretto.
E per questo si spendono 650mila euro a cui va aggiunto il personale, giacché la norma prevede per la COT una dotazione di personale di 1 Coordinatore, 3-5 infermieri, 1-2 unità di supporto (verosimilmente OSS o amministrativi).
La Casa di comunità, all’interno del Maggiore, occuperà 1.500 metri quadrati con una quindicina di ambulatori e altre attività, come un’area prelievi o un piccolo Cup. Per una spesa di 3 milioni e 800 mila euro, a cui si dovranno aggiungere i costi per ricollocare gli uffici di ingegneria informatica e gli ambulatori che attualmente occupano tale area.
Quindi verosimilmente si andrà ben al sopra dei 4milioni di euro. E per cosa?
Le Case di comunità non sono altro che i CAP – Centri di Assistenza Primaria – della riforma Serracchiani, a cui Speranza ha cambiato nome per intestarseli politicamente.
E così si investono ingenti risorse nonostante il fallimento dei CAP, cambiandone semplicemente il nome, ma non la sostanza, che resta solo una moltiplicazione di sportelli, senza che si possa intravvedere una vision complessiva, né una programmazione credibile della sanità regionale.
Va sottolineato che per ogni Casa della Comunità il PNRR finanzia la nuova assunzione di soli due infermieri (e fino al 2026, non oltre), il resto del personale (medici di medicina generale e specialistica, infermieri, fisioterapisti, dietisti, tecnici della riabilitazione, assistenti sociali…) non può che essere quello già esistente, che semplicemente sposterebbe la propria sede di lavoro, e sempre che se ne trovino, altrimenti dei 15 ambulatori realizzati ben pochi potranno essere riempiti.
In conclusione la creazione di queste strutture, che rischiano di essere scatole vuote, ancorché previste dal PNRR, andrebbe valutata realisticamente nelle diverse situazioni, tenendo conto dell’esistente, sia dal punto di vista delle risorse che delle necessità di assistenza, e non predeterminata rigidamente, con il rischio sia di mettere in campo progetti irrealizzabili nella pratica, oppure di aumentare un’offerta non necessaria e di creare domanda indotta o, come è successo per i CAP, di non attivarle non solo per carenza di personale ma, soprattutto nelle città, per carenza di domanda.
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