Il 28 dicembre un signore di Monfalcone – G.B. le iniziali – lancia la terza richiesta di aiuto, lui e la sua famiglia sono “reclusi” a casa dal 6 dicembre con “fine pena” prevista per il 3 gennaio, forse…….
Ecco il suo racconto: “Il 13 ho fatto il tampone molecolare a Trieste risultando negativo, il 14 l’hanno fatto mio figlio (negativo), mia moglie e mia figlia (positive) e già qui sorvoliamo perché stiamo tutti bene e siamo in quarantena dal 6 dicembre. Ci hanno prolungato la quarantena fino al 3 gennaio se al tampone che avremmo dovuto fare il 27, qualcuno sarebbe stato trovato positivo. Il punto è che nessuno ci ha chiamati per darci l’appuntamento per il tampone e onestamente visto i tempi che hanno, potrò mai tornare al lavoro?”
Già due settimane prima aveva chiesto aiuto: “il 6 dicembre sono il risultato positivo al tampone in farmacia e ovviamente mi hanno detto di stare a casa in quarantena assieme a mia moglie ed ai miei due figli… da allora nessuno di Asugi ci ha contattati, nonostante telefonate, pec e mail inviate….”
Come inutili sono stati i tre reclami inviati alla Regione.
Pare inammissibile che un’intera famiglia sia tenuta in quarantena, quindi segregata, dal 6 dicembre al 3 gennaio, cioè per 28 giorni, e che neppure si riesca ad interloquire decentemente con ASUGI.
Chi pagherà i danni per l’assenza dal lavoro? E per la “reclusione” ingiustificata?
Ma se a trasgredire le regole, cioè a uscire di casa, fossero stati i malcapitati “reclusi”, questi sarebbero stati inesorabilmente colpiti da sanzioni amministrative (da 400 a 1000 euro) o anche penali, con l’arresto da 3 mesi a 18 mesi e ammenda da 500 ad 5.000 euro (art. 260 R.D. 27 luglio 1934, come modificato dal D.L. 25 marzo 2020).
Visto che questo non è un caso isolato e troppi cittadini risultano vittime di un sistema che sembra operativamente sempre più confuso ho interrogato la Giunta regionale per sapere se non ritenga doveroso impegnare ASUGI a intraprendere rapide azioni correttive volte a risolvere questo problema.
Affinché i diritti dei cittadini non vengano calpestati e chi di dovere faccia il suo dovere. E qui parlo non degli operatori sul campo, essi stessi vittime, ma dei vertici “responsabili”.
No responses yet