L’ASUGI rivedrà i modelli organizzativi della sanità territoriale – lo dichiara il Direttore dell’Azienda sanitaria universitaria giuliano isontina Antonio Poggiana – annunciando il disegno di nuovi modelli incentrati sulle Case di comunità, sugli Ospedali di comunità, sulle Centrali operative territoriali.

Preoccupano queste grandi manovre sulle Case di comunità e via dicendo; non sembrano le risposte adeguate a problemi concreti, ma appaiono sempre più come scatole vuote di contenuti.

L’organizzazione dell’offerta di servizi sanitari o sociali non si fa proponendo dei contenitori, ma pianificando una strategia e progettando come realizzarla rispondendo ad una semplice domanda: cosa diamo a chi e come? Il luogo viene dopo. E prima ancora dobbiamo preoccuparci delle risorse umane – medici e infermieri – piuttosto di quelle logistiche.

Gli obiettivi di ASUGI, declinati in un futuro più remoto che prossimo, vertono come sempre sulla continuità assistenziale e sull’assistenza domiciliare. Di queste abbiamo cominciato a parlarne oltre 20 anni fa e a tal fine si sono realizzati i Distretti, l’ADI – Assistenza domiciliare integrata – che hanno funzionato nei limiti delle risorse umane disponibili.

Per assistere a casa un paziente servono essenzialmente medici e infermieri coordinati dal Distretto e connessi con i servizi di diagnosi e cura specialistici, che ovviamene devono anch’essi disporre di sufficienti risorse umane. Sono queste che mancano, insieme ad un governo meno burocratico e più empatico dei servizi, non serve aggiungere nuovi “sportelli”.

Del resto abbiamo visto che fine hanno fatto i CAP- Centri di assistenza primaria – voluti dalla precedente amministrazione, e le Case della comunità non sono altro che CAP con il nome cambiato. Perché dovrebbero funzionare laddove i primi hanno fallito?

E gli ospedali di comunità? Anche questi sarebbero ridondanti perché farebbero quello che già fanno le RSA; diamo piuttosto maggiori risorse a queste e più contributi per alleggerire le rette. Che poi vengano pensati anche come “luogo dove fornire le prime cure con l’obiettivo di ridurre la pressione sui Pronto soccorso” è privo di senso.

Si prospetta l’attivazione di una cabina di regia e di gruppi di lavoro per aree tematiche della serie pensiamo, ci parliamo, ci riuniamo, ci riparliamo, scriviamo ciò che faremo e poi ne discutiamo per poi parlarne…ma alla fine chi fa cosa e quando?

Forse sarebbe meglio agire concretamente sul presente e dare soluzioni a chi attende all’infinito per essere curato oggi, non in un futuro incerto.

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